Umberto Carlini e la tradizione delle Zirudëli

Umberto Carlini, detto anche Bertìno d Minghètt, è nato e cresciuto a Rimini (Rámmni), lungo la strada che dalla Porta Montanara conduce alla prima collina alle spalle della città, che è il Colle di Covignano (Cuvgnën). Oggi questa strada si chiama Via Covignano, ma per secoli e fino a pochi decenni fa si è chiamata Strada della Polverara o semplicemente «la Polverara» (la Pulvrëra). La strada era attraversata da un fossato, detto «il Mavone» (e’ Mavòun), e Carlini è cresciuto proprio in prossimità del fossato.

Benché quest’area si trovi a poche centinaia di metri fuori dalle mura urbane, fino a pochi decenni fa questa era aperta campagna, relativamente isolata dalla città per ragioni sociali ed economiche, per cui si parlava un dialetto molto simile a quello caratteristico delle colline che risalgono verso San Marino fra il corso del torrente Ausa e del fiume Marecchia.

Carlini è uno degli ultimi rappresentanti della tradizione popolare dei cantastorie, che si esibivano in pubblico in occasione di fiere, feste e cerimonie recitando le loro Zirudëli, composizioni in rima con una struttura metrica codificata da secoli. Si tratta appunto di un genere letterario popolare, il cui scopo irrinunciabile è quello di intrattenere e suscitare l’ilarità degli spettatori. Non a caso quando Carlini ha pubblicato una raccolta delle sue composizioni l’ha intitolata «Fema do’ risedi»: facciamo due risate.

Dal 1999 al 2002 Carlini ha vinto per quattro volte di seguito la sezione Zirudëla del concorso di poesia Giustiniano Villa di San Clemente, e in altre edizioni le sue opere sono state comunque segnalate dalla giuria.

Cos’è la zirudella

La zirudella (a volte chiamata anche zirudèla o zirudëla) è un componimento in otto versi divisi in due quartine, spesso umoristico e in rima. È molto diffuso in tutta l’Emilia-Romagna, soprattutto a Bologna e nel forlivese.

Solitamente, la zirudella viene cantata in occasioni adatte, come sagre, feste e celebrazioni (soprattutto matrimoni). Una traduzione italiana potrebbe essere “stornello”, per via della sua natura scherzosa e in rima, ma la zirudella ha un’anima tutta sua.

Ma perché si chiama così?

Secondo il musicologo Francesco Balilla Pratella (1880-1955), la zirudella potrebbe venire dai ritornelli delle canzoni popolari. Si toglievano tutte le strofe tenendo solo la parte centrale, spesso la più conosciuta. Questi motivi erano cantati con l’accompagnamento della ghironda, e forse il nome viene da qui: ghironda, ghirondella, zirondella, zirudella.

Le zirudelle erano tramandate oralmente. A volte erano inventate da autori poco istruiti, ma con grande senso dell’umorismo.

Le prime tracce scritte risalgono al XVIII secolo. Dal secolo successivo, però, le zirudelle persero l’accompagnamento musicale, e diventarono come filastrocche recitate dagli imbonitori.